sabato 14 novembre 2015

L'ESCURSIONE DEL 22 NOVEMBRE

Il Gruppo Speleologico Flondar e il Gruppo Ermada Flavio Vidonis accompagnati dallo storico Dario Marini organizzano nell'ambito del Progetto Isonzo Soča 1915 Voci di Guerra in Tempo di Pace l'escursione su quota 208 e abisso Bonetti.


La visita gratuita avrà la durata di tre ore salvo approfondimenti durante il percorso.

Si consiglia di portare con se una bottiglia d’acqua, una lampadina e indossare calzature ed indumenti adatti per le escursioni su sentieri e strade sterrate.

In caso di maltempo, sarà a discrezione dell’organizzazione decidere di rinviare o annullare l’escursione.

Ritrovo alle ore 09.00 nella Piazza del Villaggio del Pescatore

E' gradita la prenotazione (max 30 persone) 
Info 3396908950 3886449114








LE ALTRE INIZIATIVE DELLE GIORNATE

VENERDì 20 NOVEMBRE CONCERTO "ECO DELLE TRINCEE...CENT'ANNI DOPO" GORIZIA

DOMENICA 22 NOVEMBRE "PECCATI DI GOLA" TRIESTE 

LUNEDì 23 NOVEMBRE "LE DODICI BATTAGLIE, LE SCUOLE E LA MARINA" VISOGLIANO





 Dal paese, cimitero di guerra italiano dismesso, si sale il versante est del Vallone nella sella tra le quote 208 nord e sud. Durante la guerra il Vallone fu retrovia delle truppe AU e poi di quelle italiane che, con lavori colossali, aprirono strade, scavarono caverne, camminamenti e trincee, trasformando il versante est in un insediamento militare continuo, con baracche, depositi, comandi, ricoveri, postazioni d'artiglieria e cimiteri, ancora oggi riconoscibili. Superato un cubo di cemento si arriva sull'altopiano di Comeno, si piega a destra e si raggiunge l'Abisso Bonetti, grotta naturale adattata a ricovero militare. Si ritorna fino al cubo e si prende a destra. Con un tratto della "Strada generale Barco" si arriva a Isceri e poi a Berne. Seguendo la vecchia strada postale si torna a Bonetti.
[Roberto Lenardon] 















PROFILO BOTANICO-VEGETAZIONALE DELL’ABISSO BONETTI (393/765 VG) CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA SPELEOFLORA DEL CARSO GORIZIANO

Pubblicato sul n. 56 di PROGRESSIONE - Anno 2009

PREMESSE

 Il Carso goriziano, pur includendo un minor numero di grotte rispetto a quello triestino, risulta comunque interessante per la presenza di varie cavità, piuttosto indicative sotto molteplici aspetti. Alcune di esse rivestono un’accentuata importanza idrologica, in quanto sono spesso interessate, in profondità, dalla falda freatica che mette in relazione l’Isonzo ed il Vipacco. Fra le principali, si ricordano il Pozzo Bariét (273/360 VG), la Grotta presso Sagrado (1191/4112 VG), la Cavernetta presso Comarie o Grotta dell’Acqua di Jamiano (1287/4221 VG) e la Grotta presso il Lago di Doberdò (Grotta Andrea, 2391/4804 VG).
Altri ipogei, un tempo del tutto naturali, furono adattati a scopi bellici dall'esercito austro-ungarico durante la Prima Guerra Mondiale, quando vennero trasformati in ricoveri per soldati. Si rammentano, a tale proposito, l’Antro di Casali Neri (Grotta sul Monte S. Michele, Grotta dell’Orco, Jama na hribu Sv. Mihaela, 326/450 VG), la Grotta 1.a di Pietrarossa (Maria Grotte, 2167/759 VG), la Caverna Vergine (404/1063 VG), la Caverna Generale Ricordi (Grotta Fillinger, 405/1064 VG), la Caverna dell’Infermeria (414/1065 VG), il Pozzo Ricovero presso Jamiano (473/1074 VG) e la Grotta dell’Artiglieria (Grotta dei Pipistrelli di Jamiano, 1625/4505 VG). Ulteriori grotte, anche di notevole profondità, sono progressivamente scomparse in seguito al riempimento effettuato dalla popolazione locale con del pietrame, con lo scopo di salvaguardare il bestiame al pascolo.
Allo stato attuale, soltanto poche di esse assumono proporzioni di una certa vastità e non molte sono le voragini, dal carattere baratroide, con ampi pozzi d’accesso e di conseguenza rilevanti sotto l’aspetto speleobotanico. Fra queste ultime vanno ad esempio menzionate l’Antro di Colle Nero (427/749 VG), il Pozzo della Spelea (Pozzo IV di S. Martino o Spelonca sotto Baredi, 418/755 VG), la Grotta Due Piani (Grotta ad Est di S. Martino del Carso, 1166/4253 VG), l’Antro della Biscia Morta (1481/4266 VG), la Grotta 1.a di Pietrarossa (2167/759 VG), la Grotta Romana (4211/5331 VG), il Pozzo ad Ovest di Devetachi (3690/5167 VG) e l’Abisso Bonetti (393/765). Ed è proprio quest’ultima impressionante cavità, in virtù del notevolissimo interesse botanico rispetto a tutte le altre aprentesi nel territorio isontino, ad essere considerata nel presente contributo.

 CENNI CLIMATICI ED ASPETTI VEGETAZIONALI DEL CARSO GORIZIANO

 La bassa altitudine, il riparo dai freddi venti settentrionali e la vicinanza del mare determinano per il Carso goriziano la prevalenza di caratteri climatici temperato-marini rispetto a quelli prealpino-continentali. Il territorio, completamente aperto verso la pianura veneta, subisce il primo impatto delle perturbazioni atmosferiche (grandinate e temporali) che da occidente transitano verso oriente; talvolta esse sono assai violente, soprattutto nella stagione estiva. La bora, ostacolata dai rilievi carsici situati ad est del Vallone, non colpisce direttamente il territorio, visibilmente defilato rispetto alla costante direzione del flusso ventoso.
In particolare, l’altipiano sovrastante il lago di Doberdò è alquanto aperto verso il mare e di conseguenza denota un clima mite. L'isoterma annuale si attesta sui 13°-14°C; la massima si ha in luglio ed è di 23°C; quella minima, in gennaio, è di 4°C. Le precipitazioni atmosferiche annuali oscillano fra i 1100 ed i 1400 mm, con la metà di esse a verificarsi nella tarda primavera e con il rimanente ben ripartito nel corso dell’anno. La nebbia compare raramente e brevi intervalli si possono avere nei mesi invernali. Una signifcativa importanza è conferita dal microclima delle doline più profonde, che evidenziano allora connotati continentali, con l’inversione climatica della vegetazione.
Nel complesso il Carso goriziano rivela particolarità climatiche che lo distinguono alquanto da quello triestino. Infatti esso è più marino che continentale, più mite che rigido, meno ventoso e di conseguenza più secco che umido.
Sotto il profilo botanico esso rappresenta un territorio di transizione fra la rimanente parte carsica e l’avanterra prealpino ed alpino. Così, mette in evidenza una vegetazione dai caratteri prevalentemente termofili e ciò dipende pure dal progressivo livellamento della plaga carsica goriziana rispetto a quella triestina. La contemporanea presenza di numerosi elementi appartenenti alla flora relittica microterma è conseguenza invece della maggiore vicinanza delle Alpi. Si rammenta infine come il territorio carsico goriziano possa annotare varie specie a carattere submediterraneo, incapaci però di superare il limite costituito dall’Isonzo.



Polypodium cambricum - Disegno Maria Grazia Polli

L’ABISSO BONETTI (393/765 VG)

L’Abisso Bonetti (393/765 VG), incluso nel Comune di Doberdò del Lago (località “Na Kresinah”) e conosciuto anche come “Grotta a Nord di Iamiano”, “Grotta 208 Nord”, “ Prhavčja jama”, “Vrhancja Jáma” e “Perčancia Jáma”, costituisce sotto molteplici aspetti una delle cavità più singolari ed impressionanti del Carso goriziano. Si apre improvvisamente, a circa una quarantina di metri dal Sentiero C.A.I. N. 75, in una leggera depressione ben soleggiata, situata sul pianoro che si estende a nord di Iamiano (Jamlje), a sud-est dell’abitato di Bonetti (Boneti), sul versante orientale del Vallone di Gorizia. La storica Quota 208 Sud (la “Gobba”, anticamente “Na Vardi” ed oggi “Varda”) si trova 320 m ad ovest dall’Abisso. Il sentiero N. 79, dedicato al Colonnello Abramo Schmid (22.3.1921-19.12.2003), decorre poco più a nord-est, lungo il confine di Stato, fra la Quota Kremenjak (235 m) ed il Monte Kucelj (Quota 208 Nord).
Il dislivello complessivo della cavità è di 49 m e lo sviluppo (parte naturale) di 87,50 m. Essa presenta i pozzi d’accesso profondi rispettivamente 48 e 14 m; quelli interni di 10 e 14 m.
Riferendosi alla Carta Tecnica Numerica Regionale (C.T.N.R.) al 5000, Elemento “Bonetti” 088151, le coordinate geografiche sono: long. 13°34’53,50” E, lat. 45° 50’ 03,5” N; quelle metriche: long. 2409775 E, lat. 5076535 N. La quota cui si apre l’Abisso è di 182 m, quella del fondo 133 m.
            Il primo rilievo dell’ipogeo, risalente al gennaio 1923, è opera del Colonnello Italo Gariboldi (SAG). Una successiva revisione, datata 16 giugno 1968, con rappresentazione della cavità in scala 1:500, fu effettuata da Ugo Stocker (Gruppo Speleologico Monfalconese). Un ulteriore aggiornamento (1990) è opera del Gruppo Spel. Talpe del Carso; un recente riposizionamento (2001) è dovuto a M. Manzoni.
Ai tempi della Grande Guerra (1916-17) l’imponente cavità, che era indicata dagli Austriaci come “Taubenloch Höhle” o “Taubenschlucht” (Buco dei Colombi), fu in parte adattata ed utilizzata quale ricovero e posto di medicazione (poteva ospitare 250 soldati) con un accesso attraverso una galleria artificiale, distante circa 30 m a NE dalla bocca principale. Nella primavera del 1917 furono gli italiani ad adibire il sito quale posto di medicazione.
La voragine, dall’imboccatura a fenditura sinuosa (sezione triangolare di 25 x 8 m), disposta in direzione nord-sud, è impostata su una rilevante serie di fratture parallele e riveste di conseguenza una notevole importanza sotto l’aspetto morfologico. Un pozzetto, profondo 10 m, si apre proprio accanto a quello principale e sovrasta una saletta cui si può pervenire agevolmente scendendo lungo la galleria artificiale sopra ricordata. La saletta comunica direttamente con il baratro principale, sul cui fondo, posto a – 49 m, esiste una china detritica, all’apice della quale un’apertura diaclasica immette in una galleria. Superando quindi una strettoia si giunge, attraverso una seconda galleria, nella sala terminale, in parte concrezionata ed in parte ingombra da massi di notevoli dimensioni, staccatisi dall’alto. Qui, una ragguardevole formazione colonnare sembra sostenere la volta.
La cavità è tuttora frequentata dai colombi selvatici; in passato questi volatili, più numerosi, venivano cacciati dalla popolazione locale che chiamava l’ipogeo, proprio per questo motivo, “Golobinka”.
Nel 1946 una grande quantità di residuati bellici, anche di grosso calibro, fu estratta ad opera dei Rastrellatori.
Soprattutto nei decenni passati la grotta era praticata, per l’insegnamento della tecnica esplorativa, da varie Scuole di Speleologia.
            Negli Anni ’90 furono scoperti nella cavità, da parte della Società di Studi Carsici “Lindner”, due minerali, del tutto sconosciuti nelle grotte italiane: la crandallite e l’Octacalcium phosphate (Ocp). La crandallite, un fosfato d’alluminio e calcio, vi compariva sotto forma di masserelle tenere, di colore grigio, disperse nel suolo in associazione ad altri fosfati. L’Ocp è pure un fosfato, però idrato di calcio e idrogeno, costituente delle ossa umane e componente minore di alcuni terreni agrari.
Abisso Bonetti l'ingresso - Foto E.Polli

STUDI BOTANICI PRECEDENTI

 Per le sue interessanti particolarità vegetazionali, l’Abisso Bonetti fu preso in considerazione, nel settembre 1979, dagli studiosi Livio Poldini ed Elvio Toselli. Stimolati dall’elevata diversità biotica del singolare ambiente, e similmente a quanto nel contempo eseguito in analoghe cavità del Carso triestino (Grotta Noè, 23/90 VG, Abisso di Fernetti, 101/157 VG, Grotta Jablenza (106/163 VG), essi vi eseguirono una serie di osservazioni eco- e micro- climatiche nonché floristiche, atte ad evidenziare le caratteristiche ecologiche dei rispettivi pozzi d’accesso. E ciò soprattutto in rapporto alla distribuzione verticale della vegetazione che si sviluppa sulle pareti degli ipogei. La metodologia impiegata sottolineava simultaneamente le fini relazioni esistenti fra microclima e flora crittogamica dei versanti, utilizzando le informazioni fornite da alcune specie di felci (Polypodium vulgare,Polypodium interjectum ed Asplenium scolopendrium/scolopendrium) che indicavano, nell’area carsica,habitat specializzati.

 LA VEGETAZIONE CIRCOSTANTE L’ABISSO

 La zona circostante, la cavità, appartenente botanicamente all’Area di Base 47/101 e che sino ad una sessantina d’anni addietro costituiva una vasta e pietrosa landa, appare attualmente molto incespugliata e rigogliosa di vegetazione. Nell’estesa e quasi continuativa boscaglia carsico-illirica (Seslerio-Ostryetum) che vi si è progressivamente formata, hanno preso inesorabilmente piede, nello strato arbustivo, lo scòtano (Cotinus coggygria), accompagnato in quello arboreo dalle sue tipiche essenze, quali il carpino nero (Ostrya carpinifolia), l’orniello (Fraxinus ornus/ornus), la roverella (Quercus pubescens) e l’acero campestre (Acer campestre), però con minor diffusione.
Considerata la spiccata termofilia dell’ambiente, appaiono inoltre ben acclimatati il paliuro (Paliurus spina-christi), il terebinto (Pistacia terebinthus), il carpino orientale (Carpinus orientalis), il ligustro (Ligustrum vulgare), il ciliegio canino (Prunus mahaleb/mahaleb), l’acero trilobo (Acer monspessulanus/monspessulanus), il corniolo (Cornus mas) e la sanguinella (Cornus sanguinea/hungarica). Negli ambienti meno incespugliati, lo scòtano è assiduamente accompagnato dall’esuberante ginepro (Juniperus communis/communis).
La singolare presenza, sugli spalti rocciosi della Quota Škuolj (218 m) – distante due km dall’Abisso ed uno da Jamiano - di una cospicua stazione della salsapariglia nostrana (Smilax aspera/aspera), unitamente alla fillirea (Phillyrea latifolia/latifolia), all’alloro (Laurus nobilis), alla ginestrella (Osyris alba), all’euforbia fragolosa (Euphorbia fragifera) ed alla flammola (Clematis flammula v. flammula), accentua ancor più i caratteri mediterranei del territorio.
Nella plaga circostante la cavità, da alcuni anni si è inoltre accresciuta la presenza dell’invadente ailanto (Ailanthus altissima), ben visibile pure lungo i margini dell’Abisso ed insediatosi addirittura sulla parete nord-nord-orientale. In tempi più recenti vi si è associato, nelle immediate adiacenze del pozzo d’accesso, l’avventizio senecio sudafricano (Senecio inaequidens/inaequidens).
  Nello strato erbaceo, prossimo all’imboccatura, si sviluppano, in varia misura, Allium sphaerocephalon, Anthericum ramosum, Bothriochloa ischaemum, Bupleurum baldense/gussonei, Centaurea nigrescens/nigrescens, Chrysopogon gryllusConvolvulus cantabrica, Dianthus sylvestris/tergestinus, Dorycnium herbaceum/herbaceum, Eryngium amethystinum/amethystinumEuphorbia cyparissias, Ferulago galbaniferaHelianthemum nummularium/obscurum, Hypericum perforatum, Inula hirta, Inula salicina/salicina, Melica ciliata/ciliataMelittis melissophyllum/melissophyllum,Orlaya grandifloraPetrorhagia saxifraga/saxifragaSatureja montana/variegataSenecio jacobaea/jacobaeaTeucrium chamaedrys/chamaedrysTeucrium montanum, Verbascum chaixii, Vincetoxicum hirundinaria. Molte di queste entità appartengono alla cenosi nota come Crisopogoneto carsico (Chrysopogoni-Centaureetum cristatae).
Fra le essenze a prevalente carattere termofilo, si segnalano in particolare Artemisia alba/lobeliiBupleurum praealtum, B. baldense/gussonei, Campanula sibirica/sibirica, Cephalaria leucantha, Cleistogenes serotina, Filago vulgaris, Muhlenbergia vaginiflora, Odontites luteusOrlaya grandiflora, Prospero elisae (Scilla autumnalis), Rubia peregrina/longifoliaScilla autumnalis e Thymelaea passerina. Fra quelle centroeuropee prealpiche, attualmente non presenti sul Carso triestino, spicca peraltro la presenza dell’elleborina (Hacquetia epipactis), dell’anemone trifogliata (Anemone trifolia/trifolia), della dentaria a tre foglie (Cardamine trifolia), della lucertolina fetente (Aposeris foetida), dell’iperico montano (Hypericum montanum) e quella saltuaria del cardo scardaccio (Cirsium eriophorum/eriophorum), presente anche sul Carso triestino di Grozzana e del Monte Cocusso.
Le conche e gli avvallamenti dolinari circostanti l’abisso ospitano le tipiche essenze dell’Asaro-carpineto (Asaro-Carpinetum betuli), con una costante e larga presenza del croco napoletano (Crocus vernus/vernus).

 LA VEGETAZIONE NELL’ABISSO

 ZONA LIMINARE

 La prima fascia di distribuzione verticale, quella “liminare” o “zona delle Fanerogame”, raggiunge mediamente nell’Abisso Bonetti la profondità di 10 metri. Essa appare ancora ben illuminata dalle radiazioni solari, e di conseguenza vi si sviluppano, sugli spalti, sui gradoni e nei tratti a pendio meno ripido, varie specie del Seslerio-Ostrieto (Seslerio-ostryetum). Nello strato arboreo-arbustivo si possono agevolmente individuare il carpino nero, l’orniello, la roverella, il ciliegio caninol’acero campestre e quello trilobo. A sud-est, nelle zone ancora esposte in parte ai raggi luminosi ma già visibilmente ombreggiate, si è insediato e ben acclimatato, in questi ultimi decenni, l’alloro (Laurus nobilis), con la ginestrella (Osyris alba) e con il pungitopo (Ruscus aculeatus) in espansione e concentrato soprattutto nella zona che divide la bocca principale dal pozzetto adiacente. Sono pure qui presenti il bagolaro (Celtis australis) e l’ailanto (Ailanthus altissima), spesso avvolti dall’edera (Hedera helix/helix). Fra le felci, buono è lo sviluppo oltre che dell’erba rugginina, della ruta di muro (Asplenium ruta-muraria) e della cedracca (Asplenium ceterach s.l.). Alcuni rari esemplari della felce dolce (Polypodium vulgare) si sviluppano fra le emersioni situate sul margine meridionale della cavità.
Più in particolare, dal ripiano situato a sud-est, ben illuminato e dai connotati termofili, si notano nei primi metri di profondità l’edera, la melica (Melica ciliata/ciliata), la stregonella (Stachys recta), il billeri primaticcio (Cardamine hirsuta) ed il garofano tergestino (Dianthus sylvestris/tergestinus). Mentre nella zona più esposta alle radiazioni solari svetta la campanula piramidale (Campanula pyramidalis), sui ripiani rivolti ad est crescono l’erba da calli (Hylotelephium telephium/maximum), la ferola (Ferulago galbanifera), il verbasco di Chaix (Verbascum chaixii) e, più in basso, l’erba vetriola (Parietaria judaica). Un singolare esemplare di orniello si erge 3 m più sotto. Penetrano più in profondità il ciclamino (Cyclamen purpurascens/purpurascens), l’anemolo aquilegino (Thalictrum thalictroides), la dentaria a nove foglie (Cardamine enneaphyllos) ed il geranio roberziano (Geranium robertianum/robertianum)
Sul margine termofilo posto a nord-nord-ovest a strapiombo (rocce con spit), e con pochi metri a sinistra la parte conclusiva della galleria artificiale, si sviluppano il raperonzolo (Campanula rapunculus/rapunculus), il garofano tergestino ed inferiormente, pure sulle cenge e sugli spalti rocciosi, allignano il billeri primaticcio, la baccherina (Inula conyzae), l’erba da calli, il verbasco di Chaix e l’erba vetriola. Sulla parte opposta spicca un orniello, alquanto allungato, alla ricerca della luce. Più sotto, in una zona d’ombra, si possono individuare 6-7 nuclei della lingua cervina (Asplenium scolopendrium/scolopendrium), appartenenti ormai alla sottostante zona “subliminare”. Abbondante si propone qui la presenza del geranio roberziano che, al momento della ritardata antesi, conferisce una gioiosa nota di colore a tutto l’ambiente, altrimenti cupo. L’entità può raggiungere, nell’abisso, i 15-18 m di profondità.
Affacciandosi pure da sud-ovest si scorgono a sud-est, ad una profondità di poco superiore ai 10 m, numerose fronde di lingua di cervo; di fronte, a – 5 m rispetto il piano di campagna, s’individua una delle ultime stazioni del polipodio meridionale (Polypodium cambricum/cambricum), con alcuni esemplari epifitici.
La galleria artificiale, il cui ingresso si trova a qualche decina di metri a nord-est dalla bocca principale e che nel tratto superiore era stata adibita dagli austriaci ad osservatorio militare (e successivamente utilizzata quale infermeria dai soldati italiani), presenta inizialmente alcune stazioni di pungitopo (Ruscus aculeatus) e varie plantule d’ailanto (Ailanthus altissima). Negli anfratti e nelle nicchie riparate, leggermente umide ed ombrose, si nota la presenza della viola irta (Violacfr. hirta), dell’edera, dell’orniello e diverse stazioni nastriformi della felce rugginina e della ruta di muro. La vegetazione subisce una drastica rarefazione alla base del camino, alla sommità del quale, al contatto con l’esterno, si notano alcune vigorose fronde del polipodio meridionale (Polypodium cambricum/cambricum), pteridofita che colonizza peraltro, in maniera preponderante, le pareti superficiali dell’orrida spaccatura esposte a sud ed in parte quelle rivolte ad ovest.
L'areale di Polypodium cambricum/cambricum (=P. australeP. serratumP. serrulatum) è essenzialmente costituito dal Bacino del Mediterraneo e dalle Isole Canarie. In Italia la felce è presente in tutta la Penisola, ad eccezione dell’Alto Adige. In Friuli è stata segnalata, in questi ultimi anni, sul Colle di Osoppo (Grotta di Santa Colomba) ove costituisce una stazione relittica.
Da recenti indagini speleobotaniche sul Carso isontino, l’entità è stata confermata per il monte San Michele ed accertata nel Pozzo della Spelea (418/755 VG), nella Grotta Due Piani (1166/4253 VG), nell’Antro di Casali Neri (326/450 VG) ed in qualche altra grotta baratroide lungo il Sentiero Schmid (Grotta del Genetliaco, Spaccatura a N del Valico di Devetachi, Baratrino del Ponte Naturale). In questi siti si presenta in pochi individui, quasi sempre concentrati in stazioni poste su imboccature relativamente ben soleggiate.
  Sul Carso triestino essa è stata sinora individuata in una quindicina di cavità che si distinguono tutte per l’evidente legame con le stazioni della penisola istriana, di cui ne rappresentano infatti la più lontana continuazione settentrionale. Mentre nell’Istria la natura del suolo è indifferente, sul Carso triestino la colonizzazione della felce avviene solo su substrato carbonatico (ad esempio Grotta Noè, 23/90 VG; Grotta dei Cacciatori, 202/97 VG, Abisso fra Fernetti e Orle, 101/157 VG, Pozzo dei Colombi di Duino, 214/226 VG).
 Procedendo nella galleria artificiale in discesa per ulteriori 15 metri, si giunge su un terrazzino, dal suolo infidamente viscido, posto a 12 m di profondità, che offre una pittoresca ed impressionante visione della voragine. E’ qui possibile osservare, in maniera piuttosto agevole, le due zone di distribuzione vegetazionale: quella “subliminare” e quella “suboscura”.

ZONA SUBLIMINARE

 Dall’ampio finestrone a sesto acuto che conclude la galleria artificiale si possono distintamente individuare, dalla parte opposta, le cenge ed i ripiani che costituiscono la zona “subliminare”. Essa è compresa fra gli 11 ed i 25 m di profondità. La vegetazione, priva ormai delle essenze arboree presenti nella fascia “liminare” sovrastante, è superiormente rappresentata dal nocciolo (Corylus avellana), da qualche isolato sambuco (Sambucus nigra), dall’abbondante felce rugginina e, fra le Fanerogame che maggiormente si spingono in profondità, dalla falsa ortica (Lamium orvala), dalla lattuga di muro (Mycelis muralis), dal ciclamino, dalla dentaria a nove foglie, da qualche stazione d’erba vetriola e dal geranio roberziano.
Scomparsi ormai i nuclei di Polypodium cambricum/cambricum, appaiono, a partire dai 12 m di profondità per poi susseguirsi per alcuni metri più sotto, in ambienti ormai freschi ed ombrosi, le prime stazioni (una decina scarsa) della lingua di cervo (Asplenium scolopendrium/scolopendrium). Sono tutte concentrate in pochi metri (3-5 m ), principalmente al di sotto dello sbocco della galleria artificiale. Sono accompagnate dalla dentaria a nove foglie e da un evidente esemplare di sambuco. Inferiormente si estende la colonizzazione di varie Briofite, fra cui prevale Thamnobryium alopecurum, accompagnato da vigorosi nastri della felce rugginina. Compaiono qui le prime colonie delle Alghe verdi (Cloroficeae).

 ZONA SUBOSCURA

 Nella sottostante zona “suboscura” (da 26 a 40 m di profondità), la cui intensità luminosa appare estremamente ridotta rispetto a quella esterna (1/500-1/1000), si avverte immediatamente la rarefazione e la quasi totale scomparsa delle Fanerogame; ed in effetti mancano quasi del tutto i vegetali fotosintetici autenticamente troglobi. Sulle rocce umide si sviluppa ancora Asplenium trichomanes, però in formazioni nastriformi molto ridotte e depauperato nella sua struttura morfologica, risultando praticamente sterile. Vi subentra la flora nota di norma come cavernicola, con il predominio delle Briofite (Muschi ed Epatiche). Si tratta di entità fortemente sciafile, fra le quali preponderante è Thamnobryum alopecurum, anch’esso però di dimensioni ridotte e meno ramificato rispetto alla precedente presenza. Questa specie, dalle spiccate caratteristiche più suboceaniche che submediterranee, conferma una volta di più di essere la briofita che accentua, nei confronti di tutte le altre, la sua caratteristica troglofilia nelle cavità sia del Carso triestino ma anche di quello goriziano. Vi s’accompagnano altri muschi, fra cui varie specie dei generi CampyliumEucladiumEurynchium,FissidensMnium e Plagiomnium e, nelle nicchie e negli anfratti più riposti, alcune Hepaticae (generi Conocpephalum,Plagiochila).

 ZONA OSCURA

 La zona “oscura” è quella che, ormai prossima al fondo dell’abisso (dai 41 ai 49 m di profondità), si estende al di là del cono detritico, lungo le gallerie ed i passaggi che conducono alla sala terminale. Nell’ambiente, completamente privo d’illuminazione ma sufficientemente umido, si possono tutt’al più individuare colonie di batteri ed alghe microscopiche che possono così ritenersi i colonizzatori primari del substrato lapideo. Alcune muffe e funghi, per il fatto di essere organismi vegetali non autotrofi, sono capaci di svilupparsi su depositi di guano, su frammenti legnosi marcescenti o su organismi animali in avanzato stato di decomposizione.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 Ripetuti sopralluoghi effettuati negli ultimi decenni all’Abisso Bonetti hanno consentito di mettere in rilievo la varietà e la rigogliosità delle numerose specie che vi si sviluppano, attribuendo loro un elevato grado di biodiversità. A quelle dai connotati marcatamente termofili insediatesi sulle rocce più esposte alla luce e sugli spalti rocciosi ben illuminati, quali ad esempio l’alloro (Laurus nobilis), il pungitopo (Ruscus aculeatus) e la ginestrella (Osyris alba), si contrappongono quelle dai caratteri più continentali, che si sviluppano nei siti più umidi e freschi, rivolti a settentrione. Così, fra le Pteridofite, al termofilo Polypodium cambricum/cambricum contrasta, a brevissima distanza, l’umbrofilo e circumborealeAsplenium scolopendrium/scolopendrium.
            Soprattutto per questi contrasti vegetazionali, dipendenti dalla varietà dei microclimi che l’ambiente ipogeo mette mirabilmente in evidenza, l’abisso risulta estremamente interessante, rappresentando un variegato e rilevante compendio speleobotanico. Lo studio della flora e della colonizzazione vegetazionale di questa importante ipogeo, unitamente a quello in atto nelle altre grotte d’interesse botanico del comprensorio carsico goriziano, vuol costituire un ulteriore contributo alla conoscenza sempre più approfondita e precisa degli aspetti speleovegetazionali delle cavità più significative incluse nell’ambito regionale.

 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 - CARTELLE 765 VG DEL CATASTO STORICO DELLA COMMISSIONE GROTTE “E. BOEGAN", Trieste.
- SCHEDE 765 VG DEL CATASTO REGIONALE DELLE GROTTE DEL FRIULI – VENEZIA GIULIA, Trieste.
BERTARELLI L.V., BOEGAN E.,1926 – Duemila Grotte - Ed. T.C.I., Milano, 1926: 1-494.
BONA E., MARTINI F., NIKLFELD H. & PROSSER F., 2005 – Atlante corologico delle Pteridofite nell’Italia          nordorientale – Mus. Civ. Rovereto, Ediz. Osiride: 240 pp.
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